Le prime due settimane in compagnia di “The Early Years” sono state all’insegna di ascolti e visioni senza soluzione di continuita’. La logica, volendola trovare, e’ stata la ricerca degli inediti piu’ interessanti e il confronto tra le canzoni e i video ripuliti e i tanti bootlegs dove tutto si era gia’ visto e sentito, anche se meno bene. Adesso e’ arrivato il momento invece di scoprire i vari cofanetti in modo attento e cronologico.
Cambridge St/ation, 1965-1967
Come per il resto del box, l’artwork e’ “prudente”. Un riferimento chiaro alle diapositive liquide dei primi show dei Pink Floyd, caratteri semplici da archivio, striscia bianca del furgone e poco piu’. Confonde un po’ l’impaginazione dei libretti, che varia a seconda della legatura e da’ una generale impressione di fragilita’. La stessa precarieta’ si avverte con la memorabilia contenuta al centro di ogni cofanetto: alcuni mini poster hanno gia’ una fastidiosa riga bianca in corrispondeza della piegatura.
A parte questo, i “souvernirs” sono bellissimi, spiccano tra le tante cose il mini libretto con lo spartito di “Arnold Layne” e il poster dei “Games for May” del 1967. Anche le foto sono belle, alcune inedite, molte no, ma didascalie precise su date e luoghi aggiungono al tutto un bel valore storico e danno un’idea, da subito, dello spirito di tutta questa operazione: non si tratta d’intrattenimento, si tratta di storia della musica.
Tutto quello che poteva essere detto, su ogni foto e video, e’ riportato con dovizia di dettagli; il lavoro di archivio, la compravendita dei diritti, il restauro di alcuni filmati sembra siano iniziati addirittura nel 1995 ed e’ necessaria quasi una pagina intera del libretto interno per elencare la giungla di societa’ che detengono i vari diritti d’autore. Questo da l’impressione di quanto lavoro deve essere stato fatto, oltre che dai restauratori, anche dagli avvocati. C’e’ anche, in ogni libretto, un’articolo ben scritto da Mark Blake, che diventa cosi’ il nuovo scriba ufficiale del gruppo. Stridono, tutta questa precisione e attenzione ai dettagli, con la freschezza e la spontaneita’ del contenuto. Finalmente si, il contenuto.
Il primo CD si apre con una serie di pezzi R&B del 1965, in parte inediti fino a qualche mese fa, le registrazioni sono sorprendentemente buone, l’esecuzioni precise anche se scolastiche, con, a tratti, il “fattore Barrett” che fa capolino qua e la, facendo intravedere i germogli del talento che esplodera’ (per poi implodere) di li a poco.
L’ascolto del demo ’65 e’ una perfetta rampa di lancio per “Arnold Layne” perche’ fin dalla prima nota si ha l’impressione di un’orizzonte che si spalanca, una sensazione simile al passare improvvisamente da una TV in bianco e nero a un Cinemascope in Technicolor. La rapida successione delle altre canzoni vola via veloce come la cometa di Barrett, con “In the Beechwoods”, “Vegetable Man” e “Scream Thy Last Scream” che come sempre fanno pensare, positivamente, a tutti gli altri possibili futuri dei Pink Floyd se Syd non si fosse ammalato.
Il secondo CD e’ uno di quelli sui quali mi ero catapultato immediatamente. Il live di Stoccolma 1967, con la voce “registrata ad un livello inferiore all’ottimale” e’ una delle chicche del box. Purtroppo, la voce, non e’ a un livello basso, la voce, semplicemente, non e’ udibile ad orecchio umano. Per assurdo la musica e’ ottima, sia come registrazione che esecuzione. Quello che spesso passa in secondo piano, parlando dei primi Pink Floyd, e’ quanto competenti e personali fossero gia’ come musicisti. La band di Stoccolma e’ un gruppo all’avanguardia, sia ritmicamente, con Mason che ha uno stile piu’ simile al primo Moon che all’ultimo se stesso, che armonicamente, con Wright e Barrett gia’ inimitabili e Waters che sgomita, musicalmente, per unire ritmo e armonia in maniera mai banale.
La voce inesistente e’ una delusione ma il live resta comunque, oltre a una testimonianza storica fantastica, un’ottimo CD per organizzare un karaoke barretttiano interstellare. Prendete nota per la prossima fans convention.
Sul Blu Ray potrei sbagliarmi, ma chi ha collezionato video di quell’epoca dovrebbe conoscere, piu’ o meno, tutto il contenuto di questo primo disco. Tornando agli avvocati, quello che i curatori dell’opera e l’ideatore, Nick Mason, hanno dovuto fare e’ accaparrarsi formalmente i diritti di filmati che, dopo l’avvento di internet e YouTube, erano diventati abbastanza diffusi. Lana Topham, curatrice della parte video, parla nel libretto delle migliaia di correzioni che sono state apportate ai filmati originali e questo fa la differenza. In parte perche’ questi filmati, adesso che sono di nuovo di proprieta’ dei Pink Floyd, non sono piu’ reperibili on line, in parte per il lavoro di restauro, “The Early Years” e’ adesso l’unico modo per viaggiare fino all’UFO Club o la Roundhouse in prima classe, sperando che, arrivati a destinazione, un giornalista pedante non ci chieda un parere sul cibo locale. Sarebbe veramente un anticlimax intollerabile. (chi vedra’ capira’).
Mirko dice
Come per molti (credo) l’ascolto del box sarà il mio piacevole passatempo natalizio, un “viaggio” nel profondo floyd alla ricerca di ciò che non ho mai visto e udito o come spesso viene detto mai sentito e visto così bene…
Da sempre attratto più dalle registrazioni live che dai video, in questi giorni che mi separano dalla rivelazione del box, sto cercando di ripercorrere la strada amica che ritroverò poi rinnovata con più luce, audio, colore e sorpresa. Imbattendomi nei pochi live di barrettiana memoria (Stoccolma, Copenhagen, Rotterdam) mi trovo dinanzi ad una costante: musicalmente parlando i live spesso si presentano discretamente udibili nella parte strumentale e sostanzialmente ben eseguiti con roboanti e ruggenti sferzate che lasciano intuire tra fruscii vari e rumori di platee il potenziale elettrico della band e il comportamento anarchico e fiabesco di un Syd già purtroppo sull’orlo del baratro ma sempre alla ricerca di nuove trame sonore allor quando i temi della canzone virano repentinamente verso territori inesplorati liberi e strumentali, ciò non si può dire della parte vocale dei brani, dove la voce di Barrett è raramente udibile o comunque infinitamente meno presente rispetto a quella di un Roger, che dedicandosi alla presentazione e al canto della sua creatura (set the control), risulta di contrasto abbastanza chiara o comunque intuibile.
Lo stesso cliché lo possiamo ritrovare nell’unico live dell’era Barrett post floyd all’exsravaganza concert del 1970, anche qui musica udibile e voce quasi inesistente o del tutto assente… Forse l’indisciplinato Barrett non amava troppo esibirsi nel canto? Paura del microfono? Effetto voluto? La musica su tutto? O si tratta semplicemente di problemi nella registrazione di apparecchiature non troppo all’avanguardia per i tempi?
Domande che mi pongo da tanti anni e che spesso non mi trovano d’accordo con chi sostiene che la cattiva qualità della registrazione ne è al fine la causa.
L’unica risposta che riesco a darmi, e magari vi prego di smentirmi se sbaglio, è che l’impianto voci dei primi floyd non fosse poi così di buona qualità o comunque regolato non troppo bene, ma questo ragionamento stride con canoni di professionalità che a quei livelli sono piuttosto importanti al fine di guadagnarsi consensi e fama.
E allora si torna ad un Barrett che forse nella sua parabola discendente verso il profondo e buio spazio in cui si autocatapulterá non si curava affatto dei connotati musicali delle sue meraviglie.
Enrico Soldatini dice
Bellissimo commento e bell’analisi. Meglio della mia! Grazie!