Roger Waters, “This is Not a Drill”, live in Nord America 2022.
L’apertura del concerto e’ un requiem, una versione di “Comfortably Numb” lenta, nuda ed angosciante, con gli schermi abbassati sul palco centrale che nascondono i musicisti e li separano dal pubblico, e’ impossibile cosi’ distrasi dalle immagini desolanti di una metropoli distrutta, con gli uomini che vagano come ombre tra le macerie. Non c’e’ spazio neanche per la catarsi dell’assolo, “IL” solo di chitarra, ma solo per l’urlo triste delle coriste, perche’ ci siamo riusciti, alla fine, a distruggere tutto, a diventare cosi insensibili da non capire che la nostra vita non e’ una esercitazione e che quando il sogno sparisce restano solo macerie.
Il sipario di schermi si alza rivelando il palco e i musicisti, una macchina perfetta, costruita sul contrasto tra le immagini digitali nitide e brillanti e l’atmosfera intima della scena spoglia, tra le canzoni rock, e, prevalentemente in questo tour, altre acustiche.
Waters e Sean Evans, che hanno ideato lo show, hanno creato una combinazione perfetta tra musica, luci, video, messaggi scritti, che bombarda i sensi e scatena emozioni continue: si ride, ci si arrabbia, si canta, si pensa, si balla e si piange.
Roger Waters si sposta tra le quattro estremita’ del palco, offrendo a tutti un posto in prima fila ed un incontro ravvicinato con il pacifista piu’ arrabbiato, divisivo e controverso del rock, un autore e intrattenitore unico nelle sue contraddizioni, vere o apparenti, mai banale e soprattuto non ancora pronto a farsi da parte.
Lo dice chiaramente, tra l’ironico e il battagliero, con un messaggio prima del concerto, “se siete uno di quelli ai quali piacciono i Pink Floyd ma non sopportano le mie idee politiche potete andare affanculo al bar adesso”. Non si tratta d’impedire al pubblico di pensarla diversamente, ma di ribadire la sua liberta’ di continuare a portare dal vivo quei messaggi umanitari e politici che fanno parte da cinquant’anni della sua identita’ artistica, con i Pink Floyd o da solista.
La scaletta ci porta tra le cause, gli effetti e le soluzioni. Ci sono i pezzi dispotici tratti da “The Wall”, i poteri “relativamente” forti che hanno tentato di rovinarci a scuola che diventano i veri poteri forti che vogliono determinare le nostre vite, che uccidono e dominano con il coraggio di stare seduti a duemila miglia dalla battaglia; ma ci sono anche momenti intimi e in cui riaffiora la speranza. Un Bar, “diverso da quello di prima”, in cui tutti coloro che vogliono discutere e confrontarsi in liberta’ possono trovarsi, un lungo flashback costruito tra “Have a Cigar”, “Wish You Were Here” e “Shine on You Crazy Diamond” con due ricordi (uno legato a Syd, uno alle registrazioni di “Wish You Were Here”) che lasciano con le lacrime agli occhi ed un nodo allo stomaco che solo la cavalcata liberatoria alla fine di “Sheep” riesce a sciogliere.
L’urlo “Hammer, Hammer” viene fatto crescere durante l’intervallo fino a diventare insostenibile, introducendo il raduno fascista/nazista/dittatoriale di “In The Flesh” e “Run Like Hell”, ma l’orrore dell’ennesime morti inutili presentato sugli schermi viene subito bilanciato da una versione estesa di “Deja Vu’” che parla di diritti umani, tolleranza e del sostegno di Waters alla causa Palestinese.
Questa alternanza continua con i classici tratti da “The Dark Side of The Moon”, “Money”, “Us and Them, “Any Color You Like” che diventa un inno alla diversita’ e l’inclusione, mentre “Brain Damage/Eclipse” riservano per il pubblico il momento visivamente piu’ spettacolare dello show.
Il cerchio potrebbe chiudersi con “Two Suns In The Sunset”, l’olocausto nucleare, ma Waters svisa di nuovo sul positivo, riprendendo “The Bar” e collegandola ad “Outside The Wall”, la speranza c’e’ ed abbiamo ancora la possibilita’ di scegliere tra le macerie o un mondo migliore.
Mentre gli schermi si abbassano di nuovo e i musicisti lasciano l’arena suonando tra il pubblico, cala il sipario non solo sull’ennesima prova di vitalita’ artistica di un uomo ormai vicino agli ottanta anni, ma anche su una visione dei concerti rock come esperienza totale ed emotivamente coinvolgente che non esisteva prima di lui e non esistera’ piu’ dopo.
Floyd Channel
Giovanni Faraoni dice
Un pò come se lo avessi scritto io.
Ottime le parole di chiusura.
Enrico Soldatini dice
Grazie!